La disciplina che non divide

Nell’ambito del ruolo genitoriale, è tipico pensare alla disciplina come punizione, ma nei suoi significati più profondi ce ne sono altri: come formare, riportare il controllo, mettere ordine. Non vi è dubbio che i bambini abbiano bisogno di disciplina, ma dobbiamo assicurarla senza danneggiare la relazione. La disciplina non deve e non ha alcun bisogno di essere antagonistica. Non è colpa dei nostri figli se sono immaturi o sono in balia di impulsi che non riescono a gestire. Nella nostra cultura concentrata sui risultati a breve termine, ci preoccupiamo solo dell’obbedienza. Tuttavia, se comprendiamo le esigenze di attaccamento e teniamo conto della vulnerabilità dei nostri figli, l’imposizione di sanzioni, le conseguenze punitive e la privazione di privilegi sono controproducenti, perché i castighi sviluppano una relazione antagonistica e inducono indurimento emotivo. Mettere un figlio in castigo per insegnargli una lezione, contare fino a tre per essere obbediti, sono tattiche che mettono a dura prova la relazione. Quando ignoriamo un bambino che è stato preso da un accesso di stizza, o lo isoliamo perché si è comportato male, o gli neghiamo il nostro affetto, minacciamo il suo senso di sicurezza. La discipina per un genitore, è quella di riuscire ad agire nel contesto della connessione con lui.

Cosa fare allora? Alcuni approcci ci vengono naturali se ci preoccupiamo meno di cosa fare e restiamo consapevoli del legame di attaccamento. Quando invece ci concentriamo sul comportamento, rischiamo di indebolire le basi stesse del nostro potere, ossia la relazione con i figli.

I sette principi della disciplina naturale

Usiamo la connessione, non la separazione, per rimettere in riga il bambino.

La separazione è un insieme di metodi comportamentali che prevedono azioni verso i figli che sono alternative al classico castigo, come isolare, ignorare, trattare con freddezza, privare dell’affetto. Sottoporre un bambino ad esperienze di separazione non necessarie, anche se fatte con le migliori intenzioni, ha un costo molto alto: l’insicurezza del bambino. L’alternativa positiva alla separazione è il legame. Il legame è la fonte del nostro potere e della nostra influenza genitoriale. La pratica di fondo che deriva da questo mutamento nel modo di pensare è: “prima connetto e poi dirigo.” Ossia, il genitore deve avere la volontà di connettersi prima di formulare una qualunque richiesta precisa al bambino. Che si tratti di un bambino molto piccolo o di un adolescente recalcitrante, è necessario che il genitore lo porti vicino a sé, ristabilendo la vicinanza emotiva prima di aspettarsi ubbidienza. I risultati possono essere sbalorditivi.

Quando sorge un problema, lavoriamo sulla relazione, non sull’incidente.

Alcuni comportamenti ci toccano sul vivo e ci mettono a dura prova la nostra capacità di  mantenere l’attaccamento ai figli. In cima alla lista ci sono l’aggressività e a controvolontà. Se siamo destinatari di un insulto, di espressioni di odio, o un’aggressione fisica, la sfida immediata è di sopravvivere all’attacco senza infliggere un danno alla relazione. Non è questo il momento di commentare la natura del comportamento o il suo impatto doloroso. E non è neppure il momento di lanciare minacce, spedire il bambino in isolamento o di infliggere un danno alla relazione. Concentrarci sulla frustrazione, anziché prendere l’attacco in modo personale, spesso ci sarà d’aiuto: “sei arrabbiato con me?”, “Questo non ti piace, eh…” Per preservare la relazione efficace, dobbiamo far capire che la relazione non è in pericolo.  Al momento opportuno, metteremo in atto la nostra promessa di chiarire le cose.

Quando le cose vanno storte per il bambino, tiriamo fuori le sue lacrime anziché cercare di insegnargli una lezione

Un bambino ha molto da imparare: condividere la sua mamma, far spazio ad un fratello, gestire la frustrazione e il disappunto, convivere con l’imperfezione, abbandonare le pretese, rinunciare ad essere al centro dell’attenzione, accettare un no. Per facilitare l’adattamento, il genitore dovrà scegliere la danza che conduce il figlio alle lacrime, al lasciar andare, e al senso di pace che conduce il figlio alle lacrime, aiutandolo a trovare le lacrime dietro la frustrazione. Il proposito non dovrebbe essere quello di impartire una lezione, ma di muovere dalla frustrazione alla tristezza. In queste situazioni si possono dire frasi come: “E’ tanto dura quando le cose non funzionano, vero?”, “So quanto volevi che succedesse”, “Non è ciò che ti aspettavi”.

Sollecitiamo le buone intenzioni invece di pretendere i buoni comportamenti

Il quarto cambiamento consiste nel modo di pensare la disciplina che richiede di spostare la concentrazione dal comportamento alle intenzioni. Il nostro compito come genitori dovrebbe essere quello di esortare nel bambino le buone intenzioni. Ad esempio, se sapete che incontrerete resistenza al momento di uscire, richiamate a voi il bambino in anticipo e sollecitate l’intenzione di venire quando direte che è ora di uscire con frasi come: “Sarai pronto a metterti le scarpe quando ti dirò di uscire?”. Non stiamo dicendo che sollecitare le buone intenzioni porterà automaticamente al comportamento auspicate, ma bisognerà pur cominciare da qualche parte. Nel sollecitare i buoni propositi, cerchiamo di attirare l’attenzione non sulla nostra volontà, ma su quella bambino. Invece di “voglio che tu…”, “ho bisogno che tu…”, “è necessario che tu…”, “ti ho detto di…”, “devi…”, suscitare una dichiarazione di intenti o almeno un cenno affermativo della testa: “posso contare su di te per…?”, “ti va di provarci?”, “pensi di riuscirci?”, “sei pronto per…?”, “cercherai di ricordarti?” Sollecitare le buone intenzioni trasforma i bambini da cima a fondo. E ciò che si ottiene ottiene è probabile che non si otterrà in nessun altro modo. Se non riusciamo a ottenere un successo iniziale nel sollecitare le buone intenzioni, significa che il bambino o non è abbastanza maturo, o non siamo abbastanza persuasivi, oppure esistono problemi nella relazione di attaccamento.

Tiriamo fuori i sentimenti eterogenei invece di cercare di fermare il comportamento impulsivo.

Tentare di fermare il comportamento impulsivo con frasi come: “Smettila di picchiarlo!”, “Non interrompere“, “Finiscila!”, “Lasciami in pace“, “Non essere così agitato!”, “Non fare lo sciocco“, “Smettila di dare fastidio!” è come mettersi di fronte ad un treno in corsa ed ordinare di fermarsi. Quando il comportamento del bambino è guidato dall’istinto e dalle emozioni, c’è poca possibilità di imporre l’ordine attraverso lo scontro o urlando dei comandi. Piuttosto che cercare di rivolgersi al comportamento, risvegliamo alla coscienza del bambino, pensieri e impulsi che possono entrare in conflitto con l’impulso di aggredire. Ad esempio facendo affiorare alla coscienza forti sentimenti di attaccamento, di voler piacere o il desiderio di essere all’altezza. Perché è sempre più saggio ricordare prima al bambino gli impulsi mitiganti e poi le emozioni incontrollate che lo hanno trascinato in una situazione difficile, ad con frasi come: “Ora stiamo molto bene insieme. Mi ricordo stamattina che non eri molto contento con me. Anzi eri così arrabbiato che hai fatto il diavolo a quattro!”. Oppure “E’ incredibile come si possa essere tanto arrabbiati con le persone a cui si vuole bene!”. Quindi la strategia è quella non di dare un taglio al repertorio comportamentale (che è profondamente associato agli impulsi associati alla vergogna, all’insicurezza, alla gelosia, alla possessività, alla paura, alla frustrazione, alla colpa, alla controvolontà, al terrore e alla rabbia), ma semplicemente di aggiungere qualcosa alla coscienza che, se necessario, tenga l’impulso in questione sotto controllo.

Quando si ha a che fare con un bambino impulsivo, orchestriamo il comportamento desiderato anziché pretendere maturità

Ci sono bambini che hanno problemi di autocontrollo e non sono in grado di riconoscere l’impatto del proprio comportamento o di anticiparne le conseguenze. Mancano di empatia, ossia sono incapaci di considerare il punto di vista dell’altro contemporanea mente al proprio. Sono spesso giudicati insensibili, egoisti, non collaborativi, maleducati e noncuranti. Percepirli in questo modo però significa solo predisporci a farci irritare dalla loro condotta ed avanzare richieste che non verranno mai soddisfatte. D’altronde, non possiamo costringere i nostri figli ad essere più maturi di quello che sono neppure dicendogli all’infinito che devono crescere. Anziché pretendere che esibiscano spontaneamente un comportamento maturo, potremmo coreografare noi il comportamento desiderato. Quando i bambini non sono ancora in grado di cavarsela da soli, le loro azioni devono essere orchestrate da un adulto che si metta nella posizione di suggeritore: “Ora tocca a papà a parlare”, “Ora è il turno di Bruno”, “Ecco, il gattino si accarezza così”, “Se hai un abbraccio per la nonna, ora sarebbe proprio il momento di darglielo”. Però prima di passare alla guida, si richiamerà a sé il bambino.

Se non si può cambiare il bambino cerchiamo di cambiare il suo mondo

Quando i tentativi ragionevoli di disciplinare il comportamento non funzionano, la risposta non è una disciplina più severa, ma una disciplina diversa. Poiché le tecniche coercitive sono controproducenti, veniamo all’ultimo degli strumenti che appartengono alle tecniche di disciplina naturale. L’intento non è quello di estirpare il comportamento cattivo, ma di alterare le esperienze che lo fanno sorgere. Ossia, modificare le situazioni e le circostanze che scatenano il problema comportamentale. Per superare il problema del comportamento del bambino ostinato e testardo, basta riconoscere che il bambino si lascia semplicemente trascinare dai propri impulsi. Ad esempio, se riconoscessimo che un bambino è incapace di gestire la frustrazione che prova, tenteremmo di modificare le circostanze che lo rendono frustrato. Se vediamo che un bambino si rifiuta di fare ci che gli viene chiesto, ma comprendessimo che il suo essere oppositivo è stimolato dalla pressione che sente gravare su di sé, ridurremmo la pressione che stiamo esercitando. Se considerassimo un bambino bugiardo, forse affronteremmo le sue bugie con modi giudicanti e severi. Ma se avessimo la saggezza di riconoscere, che un bambino cancella la verità, solo perché è troppo insicuro del nostro amore per rischiare la nostra ira o il nostro disappunto, faremmo tutto quanto è in nostro potere per ristabilire in lui un senso di assoluta sicurezza.

Meno i bambini avranno bisogno di disciplina, più ogni metodo sarà efficace. L’uso di consuetudini e routine è formidabile per mettere ordine nell’ambito del bambino, e così anche nel suo comportamento. Le buone abitudini minimizzano la coercizione e il bisogno di comandare. Ad esempio, un’abitudine molto importante, è di avere un luogo ed un tempo per la lettura ai bambini. Il suo scopo principale è di creare un’opportunità per la vicinanza e un’intimità a tu per tu, e anche per avvicinare il bambino alla lettura senza costrizioni.

(Articolo tratto da: “I vostri figli hanno bisogno di voi” di Gordon Neufeld e Gabor Maté – edizioni Il leone verde).