Rimedi naturali per il reflusso

A volte capita che i neonati piangano tanto, o che si sveglino urlando come dei matti, disperati, senza un motivo, oppure si irrigidiscano o inarchino la schiena, se si cerca di allattarli per consolarli. Con questi sintomi, in alcuni casi, si parla di reflusso gastroesofageo del neonato, che di solito evolve spontaneamente verso la guarigione verso il primo anno d’età, oppure quando si passa a un’alimentazione solida e il bambino comincia a stare più spesso seduto o in posizione eretta. Ciò è considerato normale, dato che gran parte dei neonati ha il cardias immaturo. A volte si pensa erroneamente che il reflusso del bambino dipende dal latte perché è troppo difficile da digerire. In realtà, il latte della mamma è fatto apposta per essere digerito dal giovane intestino del neonato. Non è neppure necessario diradare le poppate nella convinzione di aver dato troppo latte al bambino. Il latte materno deve essere offerto “a richiesta”, non a scadenze regolari. Se si allungano i tempi più del necessario, il neonato rischia di arrivare affamato alla poppata e di assumere il latte voracemente, con il rischio di vomitare. Anzi, sarebbe meglio se le poppate siano più frequenti, in modo che il bambino assuma una quantità minore di latte per volta. È, inoltre, importante attaccare correttamente il bambino al seno perché una suzione errata può favorire il reflusso. Meglio allattarlo con la schiena inclinata o addirittura da seduto. Anche tenere i neonati in fascia, si riducono sensibilmente gli episodi di vomito. E ovviamente, è bene tenere sollevato il neonato dopo ogni poppata. Inoltre, è molto importante curare l’alimentazione della mamma che allatta, perché ci sono alcune combinazioni di cibi, i latticini, i fritti ed altri alimenti ai quali la mamma è intollerante (e magari non lo sa di esserlo) che potrebbero creare disagio nella flora intestinale della mamma e quindi in quella del bambino (trovate molte informazioni su come gestire l’allattamento materno sul famoso testo della: Leche League).

Ma, se nonostante questi accorgimenti, i problemi restano, è possibile avvalersi di rimedi naturali, per favorire un riposo più profondo e anche una reazione meno intensa ai fastidi del reflusso. Siccome la salute del bambino coinvolge sia la sfera fisica che quella emotiva, è molto importante potersi prendere cura di entrambe.
I bambini, fin dai primi giorni di vita, rispondono molto bene alle vibrazione delle essenze floreali e agli stimoli olfattivi. Per esempio, dei fiori di Bach, il Rescue Remedy, da massaggiare delicatamente con un un olio da massaggio sull’addome del bambino, più volte al giorno. Anche annusare gli oli essenziali o ricevere un massaggio con un olio da massaggio con aggiunta di oli essenziali ha per loro un impatto molto più forte che per noi adulti, sia per la loro costituzione più delicata che per il loro peso. Ad es. la camomilla romana, la lavanda, l’arancio dolce, (ne basta una goccia in 20 ml. di olio vettore per i bimbi dai 3 ai 6 mesi). Però ogni bimbo è diverso, ed io potrei suggerirvi il rimedio su misura per lui, grazie alla mia esperienza.

Il disturbo da carenza di natura

Vi propongo di leggere questo bellissimo articolo della naturopata Paola Leveghi, in cui spiega molto bene i danni a cui i bambini ed i ragazzi vanno incontro quando il contatto con la natura è carente.

“Il rapporto uomo – tecnologia ha subito una profonda trasformazione negli ultimi decenni: da un ruolo marginale, di contorno, essa infatti è diventata fondamentale, indispensabile nel nostro tipo di società occidentale moderna. Premesso che vi sono, a mio modo di vedere, alcuni aspetti realmente oggettivi di miglioramento di qualità della vita, come ad esempio l’utilità del telefono cellulare nelle emergenze, ritengo però che, come conseguenza, ci sia anche la perdita del contatto umano, dello scambio reale, in favore di quello virtuale. Basti guardare alla fermata dei mezzi pubblici, nelle sale d’attesa o altrove, dove sono più le persone che si intrattengono da sole con il proprio telefono rispetto a quelle che scambiano due chiacchiere del più e del meno con la persona seduta accanto. Lo stesso fenomeno si verifica anche per strada: la maggior parte delle persone, mentre cammina, scrive messaggi, naviga o telefona. Nelle parole di Christopher Willard, uno spaccato della società odierna:”Molti di noi trascorrono le giornate andando sempre di fretta, presi dal “fare” e dedicando poco o niente al semplice fatto di “essere”. Questo stile di vita ha generato non solo degli adulti perennemente indaffarati, ma anche dei bambini oberati di impegni e ansiosi. I bambini assorbono lo stress del proprio ambiente e quello degli adulti che ne fanno parte. Genitori – e, più in generale, adulti incaricati della cura dei più piccoli – nervosi e instabili possono involontariamente creare dei bambini stressati. Molti bambini sono così impegnati con lo sport, i compiti e con varie attività e corsi, che non hanno il tempo di restare semplicemente con se stessi, per conoscersi e conoscere il mondo circostante.(…) Infine, i giovani di ogni background trascorrono sempre più tempo in compagnia di forme di intrattenimento passivo, come videogiochi portatili, telefoni cellulari e televisione, invece che relazionarsi attivamente con il mondo.”[1] Quante ore si trascorrono quotidianamente in media sullo smartphone? Lo studio di Counterpoint Research[2] mette in evidenza che quasi la metà di tutti gli utenti smartphone presi in considerazione (3.500 utenti in tutti i continenti) usa il dispositivo mobile per più di 5 ore al giorno; le ore salgono ad oltre 7 nel 26% degli utenti. La navigazione in internet e i giochi rappresentano le attività più popolari in tutte le nazioni analizzate, con percentuali di utilizzo pari al 64% e al 62%; seguono la consultazione della posta elettronica (56%) e i servizi di messaggistica (54%)[3]. E per quanto riguarda il tempo trascorso dai bambini? Il tempo trascorso dai bambini davanti agli schermi cresce sempre più, aumentando notevolmente in estate, quando le scuole sono chiuse e i bambini hanno più tempo libero. Le raccomandazioni dell’Accademia Americana di Pediatria in merito sconsigliano vivamente l’uso dei device in bambini fino a diciotto mesi; da tale epoca fino ai due anni, ne andrebbe fatto un uso limitatissimo e sempre con la supervisione dell’adulto. Per i bambini dai due ai cinque anni, tassativo non andare oltre un’ora al giorno, e anche in questo caso, sempre sotto il controllo dei genitori. Oltre i sei anni, è caldamente consigliato un “piano di famiglia”: servono cioè regole ben precise, sia per il tempo, che per i contenuti. Il rischio, altrimenti, è quello di rubare tempo all’attività fisica all’aperto e ai contatti interpersonali, nonché di compromettere il risultato scolastico.[4] Anche la Società Italiana di Pediatria si è mossa in tal senso, dando delle linee guida molto simili a quelle americane, per quanto riguarda i tempi di esposizione; in merito al legame tra uso della tecnologia e le capacità di apprendimento, la S.I.P. si esprime sulla base di recenti studi, secondo i quali l’uso dei touchscreen potrebbe interferire con lo sviluppo cognitivo dei bambini, perché questi hanno bisogno di un’esperienza diretta e concreta con gli oggetti, in modo da affinare il pensiero e la capacità di risolvere i problemi. Per quanto riguarda lo sviluppo, un’elevata quantità di tempo speso davanti allo schermo è correlata a scarso profitto in matematica, a bassi livelli di attenzione e anche a minori relazioni sociali con i coetanei. Parlando di benessere generale, l’utilizzo di strumenti elettronici durante l’infanzia per più di due ore al giorno è associato ad un aumento del peso corporeo e a problemi comportamentali; alcune evidenze suggeriscono inoltre che esiste una correlazione tra utilizzo di tablet, cefalea e dolore muscolare (soprattutto collo e spalle) dovuto all’inappropriata postura. Inoltre, l’uso dei dispositivi multimediali può interferire con la qualità del sonno attraverso le sollecitazioni causate sia da alcuni contenuti stimolanti, sia dall’esposizione alla luce dello schermo che può interferire con il ritmo circadiano quando l’esposizione avviene la sera. Uno studio recente conclude che i bambini di età compresa tra uno e quattro anni che hanno la televisione in camera hanno una peggiore qualità del sonno, più paura del buio, incubi e dialoghi nel sonno. L’esposizione a tablet può interferire anche con la vista: l’uso continuo dello smartphone può causare il disturbo di secchezza oculare. Per di più, gli smartphone sono utilizzati ad una distanza ravvicinata a causa del loro piccolo schermo led, inducendo quindi fatica oculare, abbagliamento e irritazione. La precoce e prolungata esposizione a intensi livelli di rumore senza periodi di interruzione per le orecchie può portare ad un’alterata percezione dei suoni, con possibili interferenze nello sviluppo del linguaggio, nella socializzazione, nella comunicazione e nell’interazione con gli altri bambini.[5] Come già detto, non si intende demonizzare la tecnologia, ma fornire qualche spunto di riflessione. La tecnologia, per un bambino, può essere molto accattivante, con tutti quei colori vivaci, suoni vari e quant’altro; ma è molto probabile, per non dire certo, che dia una quasi immediata dipendenza. Paolo Crepet, in merito a dei nuovi computer donati ad una scuola materna, racconta: “Di lì a poco, arrivò un gruppetto di bimbi di quattro, cinque anni. Facevano un baccano tremendo, le maestre non riuscivano a chetarli. Entrati nella sala dei computer, si sedettero sugli sgabelli e cominciarono a giocare con il cd-rom. In qualche minuto, il silenzio: gli occhi sullo schermo, la mano sul mouse, era come se lo conoscessero da sempre.”[6] La tecnologia permette di “annullare” la vivacità e la necessità di movimento nonché di attività del bambino: ma è davvero questo il suo bene? O forse è piuttosto il bene dell’adulto, permettendogli così di “neutralizzare” per un po’ quel connubio di energia ed esuberanza che costituisce un bambino? Si tratta comunque di un sollievo temporaneo, in quanto, dopo essere stato esposto alla tecnologia, il bambino sarà ancora più nervoso e irritabile, in quanto troppo sollecitato a livello nervoso; inoltre, non avrà scaricato il suo primario bisogno di muoversi, quindi sarà mosso da inconsapevole frustrazione. Tutto il contrario di ciò che avviene se il bambino gioca all’aria aperta, dove è praticamente impossibile che stia fermo: potrà quindi sfogarsi e produrre gli ormoni del benessere, avendo come conseguenza una stanchezza positiva e un piacevole rilassamento che gli regaleranno una buona qualità del sonno. Molti studi hanno dimostrato che l’esposizione alla natura ha degli effetti benefici sia sul piano fisico che su quello del rendimento scolastico: dopo aver partecipato a dei campi scuola all’aperto, gli studenti mostrano un aumento della padronanza dei concetti scientifici, una migliore capacità di cooperazione e di risoluzione dei conflitti, un rafforzamento dell’autostima, un maggior rispetto per l’ambiente, un progresso nella capacità di risolvere i problemi, una maggiore motivazione all’apprendimento e un comportamento più disciplinato in classe[7]. Inoltre, la natura aiuta a ridurre i sintomi dell’ADHD (sindrome da deficit di attenzione e iperattività) nei bambini: il contatto con la natura ripristina l’attenzione e promuove il recupero della concentrazione e una ripresa più rapida dell’affaticamento mentale[8]. Oltre a tutti i benefici elencati, la natura è una delle ultime cose a questo mondo a non essere a pagamento, come scrive Peter Brown Hoffmeister: “Portare i giovani all’aria aperta è un’esperienza di condivisione, qualcosa che ha a che fare con la simbiosi e l’adattamento, due concetti che di norma non vengono presi in considerazione in un mondo che gira tutto attorno al denaro. Il problema è che le scampagnate non hanno molto a che vedere con i soldi: la natura è perlopiù ancora gratis. Stagni, ruscelli e campi non hanno registratori di cassa all’ingresso, non vi si accede passando per un casello.”[9] Che cosa rende tanto particolare lo stare all’aperto? Forse la semplicità, forse anche il fatto che nelle nostre case ci siano troppe cose, troppi aggeggi elettronici, troppo tutto. Come scrisse Henry David Thoreau in Walden, circa centocinquant’anni fa,  “la maggior parte dei lussi e molte delle cosiddette comodità della vita non sono indispensabili, ma sono un ostacolo all’elevazione dell’umanità.”[10] Probabilmente, tra le pareti domestiche iniziamo a sentirci stretti. Di sicuro, all’aperto c’è qualcosa di intangibile, che procura un immediato benessere: la natura è una sorta di medicina per l’anima. Natura è anche il contatto con gli animali: non virtuali, ma veri. Da osservare, accarezzare, sentirne gli odori, capirne i comportamenti. Racconta ancora Crepet: “Ho chiesto ad alcuni bambini di una scuola elementare di disegnare a colori una mucca. Pochissimi ne hanno saputo riprodurre le forme e ancora meno sono stati in grado di colorarne correttamente il manto: un paio di loro erano addirittura convinti che il pelo fosse di colore viola, proprio come quello dell’unica vacca vista in vita loro, apparsa nello spot pubblicitario di una famosa marca di cioccolato.”[11] Se non tutti i bambini sanno come sia una mucca, ancora meno sono a conoscenza del fatto che il pollo che mangiano sia in realtà una gallina; ma, a prescindere dal conoscere gli animali, sempre meno bambini ne conoscono gli odori o le sensazioni che dà l’accarezzarli. Questo è un problema che riguarda tutta la società, non soltanto i bambini: il nostro quotidiano è sempre più impoverito dal punto di vista sensoriale. L’ambiente in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo, infatti, è limitato e limitante, per quanto riguarda i cinque sensi. In parte, è l’effetto inevitabile del progresso: la lotta per la sopravvivenza della specie umana non richiede più l’uso strategico delle nostre capacità sensoriali. Le abilità si misurano piuttosto sul nostro talento cognitivo: intelligenza, memoria, capacità adattiva, reattività. I bambini passano molto del loro tempo guardando la televisione, strumento comunicativo in grado, nel migliore dei casi, di sviluppare solo due dei cinque sensi:la vista e, secondariamente, l’udito. Il video non si tocca, non si gusta né si odora; peraltro, con la tv anche la vista e l’udito sono usati passivamente. “Occorre dunque offrire ai bambini metodi pedagogici più complessi e attivanti, adeguati cioè alle loro sempre più ricche aspettative”, scrive Crepet.[12] La nostra società occidentale è caratterizzata dal predominio della tecnica e valuta tutto in base alla logica della produttività, dell’efficienza e del profitto. Anche l’educazione è impregnata dei valori economici: non vuole gli studenti come persone uniche e creative, ma piuttosto come funzioni esecutive intercambiabili, perfettamente integrate con il mondo del mercato. Le emozioni sono spesso considerate come interferenze negative che portano all’errore. Mario Polito, autore di “Educare il cuore”, scrive in merito: “La sopravvalutazione delle dimensione tecnica porta all’analfabetismo emotivo, all’incapacità di leggersi dentro e di capirsi, e all’alienazione da noi stessi, cioè al disordine del pensiero e alla disorganizzazione della personalità. Questa riduzione dell’uomo a un’appendice della tecnica deforma la sua persona e corrode il suo senso di identità.”[13] A proposito di bambini e tecnologia, nel cercare materiale per la mia tesi ho trovato uno studio molto interessante, intitolato “Natural Childhood” (“Infanzia Naturale”), scritto da Stephen Moss e pubblicato nel 2012 dal National Trust (un ente per la salvaguardia di luoghi di interesse storico o naturalistico, senza scopo di lucro, fondato nel 1895, appunto per tutelare e preservare dall’industrializzazione alcuni edifici e parte del territorio britannico. Dopo la sua istituzione, il National Trust ha acquisito o ricevuto come donazioni numerosi luoghi e monumenti, molti dei quali sono aperti al pubblico. Questa associazione è oggi il primo proprietario terriero britannico e conta più di due milioni di soci.) in cui si definisce un nuovo disturbo, al momento non ancora rientrante ufficialmente nelle definizioni correnti della medicina tradizionale. Si tratta del “Nature Deficit Disorder”, letteralmente “Disturbo da Carenza di Natura”. Benché i dati delle statistiche siano relativi principalmente alla Gran Bretagna, con riferimento comunque anche ad altri Paesi europei, non vi è grande differenza con le abitudini del nostro Paese, per quanto riguarda i tempi di esposizione alla tecnologia. Il testo originale è in lingua inglese, io ne ho effettuato personalmente la traduzione. (Per il testo in lingua originale, le note dell’autore e la bibliografia relativa si veda www.nationaltrust.org.uk). Qui di seguito alcune pagine con i passaggi più significativi.   “Questo studio riguarda il fatto ormai evidente che la nostra nazione, e specialmente i nostri bambini, stanno mostrando i sintomi di un fenomeno moderno conosciuto come “Disturbo da Carenza di Natura”. Guardiamo a ciò che tale disturbo ci sta costando, perché è provato che sia così difficilmente reversibile, e cerchiamo di chiarirci le idee a proposito di ciò che dovremmo fare per eliminarlo, prima di estendere la questione all’intera nazione. E’ importante affermare dall’inizio che non è un anacronistico lamentarsi della modernità. I benefici della moderna tecnologia sono molti; e chiamare a gran voce il ritorno ad una mitica età dell’oro sarebbe tanto inefficace quanto fuorviante. In realtà, questo studio è una chiamata alle armi per assicurarci che, muovendoci nel progresso, lo facciamo conservando ciò che è più prezioso e che dà immenso significato alla vita. Come scriveva Octavia Hill, una delle fondatrici del National Trust, più di cento anni fa: “La vista del cielo e delle cose che crescono sono bisogni fondamentali, comuni a tutti gli uomini.” L’ombra crescente di ciò che è stato definito Disturbo da Carenza di Natura minaccia il compimento di ciò che è necessario per noi; dobbiamo invertire la rotta. L’introduzione dello studio presenta gli argomenti in maniera più dettagliata, confrontando la sensazione diffusa che il Disturbo da Carenza di Natura sia o marginale alla società, o semplicemente un’inevitabile conseguenza della modernità. Dimostra anche il diffuso pensiero che sia necessario fare qualcosa per cambiare l’attuale situazione, per permettere ai nostri bambini di ri-connettersi al mondo della Natura. Parte 1: Disturbo da Carenza di Natura: Cause e Conseguenze, incentrato sulla vita dei bambini della Gran Bretagna, concerne specialmente la loro mancanza di coinvolgimento con la natura. Presenta delle statistiche e i risultati di numerose ricerche e studi, confermando le drammatiche e preoccupanti conseguenze dell’attuale situazione. Vengono analizzate tre categorie specifiche: problemi di salute fisica, compresa l’obesità, problemi di salute mentale e la crescente incapacità dei bambini di affrontare dei rischi per se stessi e per gli altri. Parte 2: Il Valore del Legame: Benefici di un’infanzia naturale riguarda le conseguenze, per la società, derivanti dal declino generazionale nel legame con il mondo della natura, suddivise in quattro categorie:

  • Salute;
  • Educazione;
  • Comunità;

Parte 3: Paura e Complessità: Barriere a un’Infanzia Naturale esamina ciò che è di ostacolo al raggiungimento di questi scopi, inclusi:

  • i pericoli del traffico e come questo limiti severamente la capacità dei bambini di avventurarsi fuori casa;
  • la questione della Salute e Sicurezza, e come l’ossessione di cercare di raggiungere un mondo “a rischio zero” limiti pesantemente la libertà dei bambini;
  • la paura dei genitori dei “pericoli estranei” e le sue conseguenze sulla libertà dei bambini;
  • l’atteggiamento negativo di alcune autorità, che considerano il gioco dei bambini all’aperto come qualcosa che andrebbe fermato piuttosto che incoraggiato;
  • il ruolo passato e talvolta attuale di certe organizzazioni di conservazione della natura che dovrebbero essere maggiormente informate ora.

Parte 4: Il Dibattito: Verso delle Soluzioni porta questo studio a concludersi con un appello: trovare quali misure, secondo il popolo britannico, potrebbero essere adottate per iniziare ad assicurare ad ogni bambino la possibilità di sviluppare un personale legame con il mondo della natura. INTRODUZIONE: Nel suo influente libro Last Child in the Woods (“L’ultimo bambino nei boschi”), pubblicato nel 2005, l’autore californiano Richard Louv ha coniato la frase che è giunta a definire il problema che stiamo ora cercando di risolvere: “Il disturbo da Carenza di Natura descrive i costi umani dell’alienazione dalla natura, tra cui: minore utilizzo dei sensi, difficoltà di attenzione, e più elevati gradi di disturbi fisici ed emotivi.” I bambini del nostro Paese si stanno perdendo la pura gioia del legame con il mondo della natura; e, come risultato, da adulti mancheranno della comprensione dell’importanza della natura per la società umana. Se non invertiamo questa tendenza verso un’infanzia sedentaria e al chiuso, – presto – rischiamo di accumulare problemi sociali, medici e ambientali per il futuro. I motivi di questo non sono tutti quelli che potrebbero sembrare. La reazione istintiva,  in una prima discussione,  è che il Disturbo da Mancanza di Natura riguardi due cose: povertà e tecnologia. C’ è del vero in entrambe. Il problema è maggiormente accentuato nelle zone urbane a basso reddito; e quando si chiede ai bambini il motivo per cui non vadano fuori ad esplorare il mondo della natura, i giochi al computer e la tv sono sulla lista dei motivi che i bambini forniscono. Ma questa non è la fine della storia. Il Disturbo da Mancanza di Natura è esteso a tutta la società. E mentre la natura è realmente più competitiva per l’attenzione dei bambini di oggi (e sinceramente, le Playstation e le Wii sono divertenti), c’è un’importante evidenza del fatto che i bambini vorrebbero trascorrere più tempo all’aperto. C’è una posta molto alta in gioco qui per accettare semplicemente la situazione come un’inevitabile conseguenza della modernità. Dobbiamo scavare più a fondo, e guardare a voci come il traffico, “la paura dell’estraneo” e il derivante fenomeno dei “genitori elicottero”, che seguono e dirigono ogni movimento dei loro figli. Quindi, cosa possiamo fare per combattere il problema del Disturbo da Mancanza di Natura, per assicurarci che i bambini di oggi possano scoprire il mondo della natura per se stessi, e usufruirne dei benefici? I nostri giornali nazionali hanno sostenuto campagne, scritto editoriali e stampato lettere dei lettori lamentando l’attuale stato dei bambini della Gran Bretagna. Secondo il loro parere, stiamo crescendo una generazione di bambini “couch-potato” (letteralmente “patata da divano”, espressione colloquiale con valenza negativa per indicare una persona che passa tutto il suo tempo incollato davanti alla tv, n.d.t.), che in ultima porterà all’”erosione dell’infanzia”. I genitori concordano: un recente sondaggio ha rivelato che due su tre pensano che i loro figli al giorno d’oggi abbiano meno libertà di gironzolare dei polli allevati all’aperto. Ci troviamo ora ad un punto cruciale. Abbiamo l’evidenza: sia i danni fatti da questa situazione, sia i molteplici benefici del permettere ai bambini di età compresa tra i sette e i dodici anni a libertà di esplorare il mondo della natura. Abbiamo il supporto:  virtualmente da chiunque sia coinvolto con i bambini, sia da un punto di vista professionale che come genitore, o entrambi. E abbiamo l’opportunità: non tanto perché la natura sia più o meno una risorsa gratuita, che offre molti benefici a basso costo per bambini e famiglie, un fattore importante in questo momento di stress economico. Così abbiamo i mezzi, i motivi e le opportunità. Ora abbiamo bisogno della volontà. Le cose non possono venire cambiate nell’arco di una notte, ma dobbiamo pur iniziare da qualche parte. Questo report è un primo passo, in attesa di sollevare il dibattito su questo argomento, e fornire lo spunto per aiutare a risolverlo. Lo scopo non è niente di meno che il calcio di inizio per la creazione di un nuovo modo di vivere per i bambini del nostro Paese. Parte 1: Disturbo da Mancanza di Natura: Cause e Conseguenze. Fino a poco tempo fa, se un bambino veniva mandato in camera sua durante il giorno, era perché si era comportato male. Oggigiorno, le cose sono molto diverse. La stanza dei figli non è più un luogo di punizione, bensì un centro di intrattenimento: l’epicentro della loro vita sociale. Da qui possono accedere al mondo esterno mediante il loro telefono cellulare,  la tv o il computer; o immergersi in un mondo irreale e accattivante dei giochi al computer, i cui sfondi sono così convincenti che talvolta i bambini hanno difficoltà a distinguere questa “realtà virtuale” dal mondo reale. Perché dovrebbero mai avere bisogno di avventurarsi all’esterno? Le statistiche confermano la percezione diffusa che i bambini del nostro Paese abbiano uno stile di vita molto impostato sullo schermo:

  • in media, i bambini britannici guardano più di diciassette ore di tv a settimana: che è circa due ore e mezzo al giorno, ogni singolo giorno dell’anno;
  • i bambini britannici trascorrono più di venti ore alla settimana online, principalmente sui siti di social network;
  • nel momento in cui crescono, le loro “aggiunte elettroniche” aumentano. I ragazzini britannici nella fascia compresa tra gli undici e i quindici anni trascorrono circa la metà del loro tempo da svegli davanti ad uno schermo: sette ore e mezzo al giorno, con un aumento del quaranta per cento in un decennio.

L’aumento del gioco virtuale, in opposizione a quello reale, non ha, sorprendentemente, grandi effetti sulla vita dei bambini; ma viene comunque chiamato “l’estinzione dell’esperienza.” Quando si cercano le cause del motivo per cui i bambini di oggi non abbiano più legami con il mondo della natura, molte persone puntano il dito contro decisamente su questo stile di vita basato sugli schermi. Ma non bisogna dimenticare che la tecnologia porti molti benefici ai bambini, non ultimo la possibilità di accedere a molte informazioni riguardo al mondo della natura. E mentre sarebbe facile trarre la conclusione che la trappola di questo intrattenimento basato sugli schermi sia la principale ragione per cui i bambini raramente escano, potrebbe essere un sintomo di ciò che Richard Louv chiama “piacevole, protettivo arresto domiciliare”. Per trovare le reali cause della situazione attuale, bisogna esaminare anche gli altri modi con  cui la libertà dei bambini ad avventurarsi all’esterno sia stata erosa. Dunque i nostri figli sono davvero prigionieri nelle loro case? Le statistiche sembrerebbero confermare questo punto di vista. In una singola generazione dagli anni Settanta, il “raggio di azione” dei bambini – l’area attorno a casa loro in cui hanno il permesso di girare autonomamente – è diminuito circa del 90%. Nel 1971 l’80% dei bambini di sette e otto anni andava a piedi a scuola, spesso da soli o con i propri amici, mentre due decadi dopo meno del dieci per cento lo faceva, per lo più tutti accompagnati dai genitori. Se alla maggior parte dei bambini oggi non è permesso scendere in strada da soli, le possibilità che possano esplorare il mondo della natura sono ancora più remote. C’è un’evidenza che suggerisce che questo stile di vita al chiuso, sedentario, abbia profonde conseguenze sulla salute dei nostri figli, specialmente nei confronti di quanto è stato definito “l’epidemia moderna” dell’obesità:

  • circa tre bambini su dieci in Inghilterra, di età compresa tra i due e i quindici anni, sono sovrappeso o obesi;
  • la percentuale dei classificati come obesi è drammaticamente aumentata dal 1995 al 2008, passando dall’11% a quasi il 17% nei maschi, e dal 12% al 15% nelle femmine;
  • se questa attuale tendenza continuerà, entro il 2050 più della metà di tutti gli adulti e un quarto dei bambini saranno obesi.

Altri problemi di salute fisica in merito riguardano la carenza di vitamina D, fenomeno che porta ad un aumento, nell’infanzia, di rachitismo, miopia e asma. Si è rilevata anche una diminuzione della capacità dei bambini di eseguire semplici compiti fisici, dando luogo ad una “generazione di gracili”; un declino nelle capacità cardio-respiratorie dei bambini (cuore e polmoni), del 10% circa in una decade. Tutti questi problemi di salute sono stati, in parte, attribuiti dai ricercatori ad una diminuzione del tempo che i bambini trascorrono all’aperto in confronto alle precedenti generazioni. Ma i problemi fisici sono soltanto una parte della storia. L’indagine di Good Childhood (“Buona Infanzia”) ha rilevato che i bambini soffrano di un’ “epidemia di malattie mentali”, con aumenti significativi, tra il 1974 e il 1999, del numero di bambini con problemi emotivi e comportamentali:

  • un bambino su dieci di età compresa tra i cinque e i sedici anni presenta un disturbo mentale clinicamente certificato;
  • un adolescente su dodici è autolesionista;
  • a circa 35.000 bambini in Inghilterra vengono prescritti antidepressivi.

Problemi di salute fisica e mentale sono le conseguenze più ovvie di una mancanza di rapporto con la natura, ma ce ne sono altre che sono meno tangibili, per quanto non meno importanti. La principale tra queste è il declino della resilienza emotiva, unito al declino della capacità di assumersi dei rischi, entrambe capacità vitali per lo sviluppo di ciò che all’aperto è fondamentale, come nota la psicologa infantile Tanya Byron: “Meno giocano all’aperto, meno i bambini imparano ad affrontare i rischi e le sfide che si troveranno ad affrontare da adulti. Niente può sostituire ciò che i bambini ottengono dalla libertà e dall’indipendenza di pensiero che essi hanno quando sperimentano cose nuove da soli all’aperto.” Un potenziale impatto è che i bambini che non si assumono rischi diventeranno adulti che non sapranno assumersi rischi.” PARTE 2: IL VALORE DEL LEGAME: BENEFICI SU UN’INFANZIA NATURALE. “Il mondo della natura è vitale per la nostra esistenza, fornendoci cose essenziali quali cibo, acqua ed aria pulita, ma anche altri benefici culturali e di salute non sempre pienamente apprezzati perché li diamo per scontati.” Caroline Spelman Segretario di Stato all’Ambiente e alle Politiche Rurali. Così, questa è una storia di inarrestabile tristezza: come una generazione di bambini mostri di soffrire da una mancanza di contatto con il mondo della natura, con conseguenze serie sia per se stessi che per la società. Ora è il momento di guardare agli aspetti più belli di tutto questo: quali sarebbero i benefici del ri-connettere i nostri figli con i grandi spazi aperti? Fondamentalmente, questi benefici derivano tutti da un’importante caratteristica del mondo naturale, in confronto alle alternative virtuali. A differenza di queste, la natura non ha un manuale di istruzioni, o una scala predefinita di possibili impostazioni; ciò nonostante, racchiude infinite possibilità. C’è anche un’evidenza irrefutabile del fatto che gli esseri umani abbiano un bisogno innato della natura: concetto, questo, conosciuto come “biofilia”. Originariamente coniato da Erich Fromm, e in seguito reso più noto dal biologo Edward O. Wilson, la biofilia si riferisce al nostro primario bisogno di connetterci con il mondo naturale; e sebbene conduciamo delle vite molto diverse rispetto ai nostri antenati della preistoria, ciò rimane fondamentale nelle nostre vite anche al giorno d’oggi: “Proprio come i bambini hanno bisogno di un’adeguata nutrizione e di un buon sonno, possono sicuramente, allo stesso modo, aver bisogno del contatto con la natura.” (Louv). Tim Gill, uno dei maggiori esperti di infanzia del Regno Unito, sviluppa questo concetto: “I luoghi naturali sono singolarmente ambienti che migliorano la vita, affascinanti, stimolanti, in cui i bambini possono raggiungere nuove profondità nella comprensione di se stessi, delle proprie abilità e del loro rapporto con il mondo che li circonda.” Questa profondità di comprensione porta allo sviluppo di opportunità che, a loro volta, portano ad una serie di benefici a livello globale della società. Ciò si verifica in quattro categorie:

  1. BENEFICI DI SALUTE:

Se vogliamo migliorare il benessere fisico dei nostri figli attraverso una maggiore attività, e iniziare a ridurre l’epidemia di obesità infantile, una cosa importante che possiamo fare è portarli a giocare fuori. Come ha osservato una persona che lavora nel campo dell’infanzia: “Se guardate i bambini giocare all’aperto, vedrete che faranno così tante attività fisiche (corrono per ore, scavano, arrampicano,…); se glielo dicessimo noi, non lo farebbero, invece giocando sono loro che lo vogliono fare. Non otterrete quei livelli di attività fisica con niente altro.” (Penny Wilson). Inoltre, i benefici del gioco all’aperto proseguono anche più avanti nella vita. C’è una chiara evidenza che mostra che un’abitudine all’esercizio (inteso come movimento, n.d.t.) nel bambino getta le basi per le sue abitudini da adulto. L’esposizione al mondo della natura può addirittura aumentare la durata della vita delle persone. Nel 2009 i ricercatori dell’Università dell’Essex hanno pubblicato uno studio sulla natura, l’infanzia, la salute e i percorsi di vita. In un percorso di vita in cui i bambini sono allevati all’aperto, le loro aspettative di vita da adulti aumentano. Ma se il giocare all’aperto è così positivo per i bambini, perché hanno bisogno di lasciare le aree di gioco ed esplorare oltre i loro confini? Perché, a differenza dei parchi giochi progettati dalle menti umane, gli ambienti naturali permettono ai bambini di giocare in  tantissimi modi, molto più vari e usando l’immaginazione. In confronto alle aree di gioco create dall’uomo, il mondo della natura è altamente complesso, con molti luoghi in cui nascondersi o da esplorare; non è pulito, cosa che può essere scoraggiante per gli adulti, ma per i bambini ciò garantisce una maggiore attrazione; e, soprattutto, è dinamico, varia di giorno in giorno, da una stagione all’altra e di anno in anno. Naturalmente, stare all’aperto può anche portare i bambini a doversi confrontare con esperienze meno piacevoli: spaventarsi, prendere freddo, bagnarsi, e qualche volta anche farsi male. Ma considerate l’alternativa: che i nostri figli crescano senza mai incontrare queste cose “difficili”, e che facciano il loro ingresso nel mondo degli adulti impreparati per le sfide che esso comporta. Ecco perché i benefici di un legame con la natura, a livello mentale, sono importanti quanto quelli fisici, se non di più, sebbene le due cose, naturalmente, siano strettamente collegate: una maggiore attività fisica promuove una migliore salute mentale, e un’infanzia sedentaria porta a maggiori problemi mentali. In maniera specifica, un’alta percentuale di bambini che soffrono del Disturbo da Carenza di Attenzione ed Iperattività (ADHD) ha giovamento da un maggior contatto con la natura. In uno studio, un’esposizione alla natura riduceva del triplo i sintomi dell’ADHD nei bambini rispetto allo stare dentro. Ma non sono soltanto i bambini con una diagnosi specifica a beneficiare di un incremento di contatto con la natura. L’esposizione all’ambiente naturale riduce lo stress e i comportamenti aggressivi in tutti i bambini, e dona loro un maggiore senso di autostima. Più a lungo termine, un continuo e regolare contatto con la natura porta ad un aumentato livello di soddisfazione della vita in generale. B: BENEFICI EDUCATIVI/SCOLASTICI: Un maggiore contatto con la natura migliora anche le modalità di apprendimento dei bambini, sia in maniera formale che informale. L’apprendimento all’esterno fornisce loro diretta esperienza della materia, rendendo più interessante e coinvolgente la loro comprensione. Li mette anche in grado di sviluppare i legami vitali tra il mondo esterno e ciò che la pedagogia definisce “il mondo interiore, nascosto, affettivo” dei bambini. (Robin Moore). Le evidenze del miglioramento, che lo psicologo infantile Aric Sigman definisce l’”effetto campagna”, sono considerevoli: egli ha infatti scoperto che i bambini esposti alla natura ottenevano punteggi più elevati riguardo alla concentrazione e all’auto-disciplina; che miglioravano i loro schemi di ragionamento, di attenzione e di osservazione; andavano meglio in lettura, scrittura, matematica, scienze e studi sociali; lavoravano meglio in gruppo, e soprattutto mostravano un comportamento migliore. Così, i bambini che imparano all’aperto, imparano di più, capiscono di più, si sentono meglio, si comportano meglio, lavorano in maniera più collaborativa e sono fisicamente più sani. Non male come risultato semplicemente cambiando il luogo in cui vengono istruiti. C: BENEFICI DI COMUNITA’: Ricollegare i bambini alla natura non è soltanto a loro vantaggio. Ci sono conseguenze positive per le comunità e per l’intera società. Nel 2011, uno studio cultural-etnografico crociato, che confrontava l’infanzia nel Regno Unito, in Spagna e in Svezia, ha rilevato che i genitori britannici stanno incastrando i loro figli in un cerchio di “consumismo compulsivo”. Lo studio, basato su un precedente studio significativo che vedeva il Regno Unito agli ultimi posti per quanto riguarda il benessere infantile, su ventuno nazioni analizzate, ha riportato un feedback piuttosto simile nei bambini di tutti e tre i Paesi: “I bambini di tutti e tre i Paesi hanno riferito ai ricercatori che la loro felicità è dipendente dall’avere tempo da trascorrere con la famiglia e dall’essere pieni di cose da fare, specialmente all’aperto, piuttosto che avere cose tecnologiche o vestiti firmati. A dispetto di ciò, una delle cose più eclatanti di questo studio è che i genitori nel Regno Unito sentivano una tremenda pressione dalla società per l’acquistare beni materiali per i loro figli; questa pressione era avvertita maggiormente nelle situazioni di basso reddito. (Sondaggio: My Italics.) Si può osservare con grande evidenza che perfino un minimo contatto con la natura rinforzi le comunità; studi hanno dimostrato che, perfino in quei casi in cui l’unica variante era la vista di uno spazio verde dalla finestra, l’incidenza di crimini è ridotta del 50%. Intuitivamente, in un mondo in cui i bambini giocano nel loro spazio verde e ci si raccomanda che lo facciano, quei bambini diventano parte della comunità. D: BENEFICI AMBIENTALI. Per quanto importanti siano le motivazioni economiche a breve termine, non dobbiamo perdere di vista quelle a lungo termine. Per tutte le motivazioni sulla nostra dipendenza dalla natura, non manterremo la nostra relazione a doppio senso con il mondo naturale a meno che non sviluppiamo quei legami da giovani. Ciò è in parte perché è probabile che soltanto gli adulti che hanno fatto esperienza di natura da bambini siano motivati a proteggere l’ambiente, come nota il dott. William Bird: “L’età fondamentale per l’influenza sembra essere prima dei dodici anni. Prima di quest’età il contatto con la natura in tutte le sue forme, ma in particolare con la natura “selvaggia”, sembra influenzare fortemente un comportamento positivo verso l’ambiente.” Se vogliamo creare un ambiente migliore – per la fauna selvatica e per le persone – questo sperimentare e questa conoscenza sono pietre miliari essenziali. Come conclude Richard Louv: “Se vogliamo salvare l’ambientalismo e l’ambiente, dobbiamo salvare anche una specie a rischio: il bambino in natura”. Non sono soltanto i bambini che hanno bisogno della natura; anche la natura ha bisogno dei bambini. PARTE TRE: PAURA E COMPLESSITA’: BARRIERE AD UN’INFANZIA NATURALE. L’infanzia sta venendo minacciata dalla crescente avversione degli adulti verso il rischio e l’intrusione di quella paura in ogni aspetto delle loro vite. Il peso dell’evidenza dei benefici derivanti dal riportare i bambini di nuovo alla natura è, come abbiamo visto, molto notevole. Abbiamo perfino un giornale del governo, The Natural Choice, (“La scelta naturale”), che fa diverse raccomandazioni studiate esplicitamente per riconnettere i bambini del nostro Paese con il mondo della natura, tra cui:

  • il riconoscere che abbiamo bisogno di sfruttare il “servizio alla salute della natura”, in particolare riferimento alla salute fisica e mentale dei bambini;
  • uno specifico impegno per aumentare l’apprendimento all’aperto, tramite l’offrire alle scuole supporti pratici;
  • creare migliori accessi vicini alla natura, sia a livello locale che più ampiamente, per permettere ai bambini (e agli adulti) di sperimentarne i benefici.

E tuttavia la corrente continua a scorrere nella direzione sbagliata. Quindi, cos’è che ci ferma? La risposta è data dal fatto che c’è un’intera schiera di barriere – alcune giustificate, altre meno; alcune funzionali, ed altre più profondamente radicate e psicologiche. Queste barriere possono essere molto difficili da abbattere, non ultimo perché sono diventate radicate nelle nostre vite. A: TRAFFICO: Prima di tutto, c’è una barriera che è ampiamente funzionale, e riguarda ciò che è totalmente razionale – sebbene l’immagine non sia come potrebbe sembrare a prima vista. I governi e le organizzazioni che si occupano di viabilità ci farebbero credere che la storia della sicurezza stradale dei bambini negli ultimi anni sia di un successo senza pari. Le statistiche sembrano supportare ciò: il numero dei bambini morti sulle nostre strade è sceso notevolmente, da circa settecento morti nel 1976 a soltanto ottantuno nel 2009. Ma la vera ragione di questa diminuzione sta nel fatto che i bambini oggigiorno abbiano raramente il permesso di avventurarsi fuori da soli. Infatti, lo studio di Mayer Hillman One False Move (“Un Movimento Falso”) rilevò che nel 1971 l’80% dei bambini di  sette ed otto anni andava a scuola da solo; nel 1990 soltanto il 9% faceva il tragitto non accompagnato. Hillman e gli altri conclusero che gli incidenti stradali che coinvolgevano bambini erano diminuiti non perché le strade erano diventate più sicure, ma perché i bambini non potevano più essere esposti al pericolo che presentano. L’uso dell’auto rimane a livelli storicamente più elevati. Se le cose non cambieranno, i pericoli del traffico rimarranno uno dei motivi principali per cui i bambini non giocano all’aperto. Questa è una barriera fondamentale da superare se vogliamo instaurare nuovamente il “diritto a gironzolare” dei nostri figli: sia sulle strade in cui vivono, che in un più ampio ambiente naturale. B: ATTEGGIAMENTO VERSO IL RISCHIO. Il traffico rappresenta per i bambini un rischio fisico che non dovrebbe mai essere sottovalutato. Ma ci sono altre forme di rischio che sono positive. Dare ai bambini la possibilità di esplorare i dintorni naturali costituisce inevitabilmente un elemento di pericolo. Tuttavia dovremmo guardarlo in prospettiva: i bambini vengono portati all’ospedale, per essere caduti dal letto, tre volte tanto rispetto al cadere da un albero. Quindi ironicamente, in assoluto il luogo più pericoloso per un bambino è proprio la casa:

  • ogni anno, un milione di bambini fino ai quattordici anni vanno ai reparti di Pronto Soccorso: trentamila con i sintomi dell’avvelenamento, principalmente a causa dei prodotti per la pulizia domestica, e cinquantamila con scottature o ustioni;
  • mezzo milione di bimbi piccoli e toddlers (termine che non ha un corrispettivo in italiano, traducibile come “bambino piccolo che muove i primi passi”, n.d.t.) si fanno male ogni anno a casa, trentacinquemila cadendo dalle scale;
  • in media, dieci bambini muoiono ogni anno per essere caduti dalla finestra o dal balcone, mentre gli incendi casalinghi causano la metà di tutti gli incidenti fatali per i bambini.

Tuttavia, a dispetto di queste terribile statistiche, continuiamo ad affermare che il pericolo si trova fuori da casa, e che tenendo i bambini dentro in qualche modo evitiamo loro qualsiasi rischio. Chiaramente, le statistiche di cui sopra dimostrano che non è proprio il caso. Naturalmente, nemmeno un ambiente naturale è completamente esente da rischio. Ma questi rischi sono una parte fondamentale dell’infanzia: imparando gradualmente cosa è sicuro e cosa è pericoloso, specialmente con attenzione verso le proprie azioni e i propri comportamenti, i bambini sviluppano il loro “termostato di rischio”. Arrampicare su un albero è un buon esempio: può essere facile salirci, ma poi il bambino può rendersi conto che scendere può essere decisamente più difficile. L’esperienza gli insegna una lezione importante sui suoi limiti, e i rischi che si prepara ad assumersi.   Tim Gill ha auspicato “il totale rifiuto della filosofia della protezione”. Al suo posto, sostiene, dovremmo abbracciare il rischio, l’incertezza e la sfida – perfino il pericolo – come ingredienti essenziali per un’infanzia completa. C: LA PAURA DEGLI ESTRANEI: Mentre ci occupiamo dell’argomento del rischio, dobbiamo anche considerare l’aspetto più emotivo e controverso della questione. Non c’è dubbio che la paura più grande dei genitori sia la paura dell’estraneo. E’ probabile che la paura degli estranei sia ben radicata nella nostra coscienza, essendosi evoluta come una strategia per la sopravvivenza tra i nostri antenati più remoti. Ma Richard Louv suggerisce che la “sindrome da uomo nero” può essere diventata controproducente al giorno d’oggi: “La paura è la forza più potente che trattiene i genitori dal permettere ai propri figli la libertà che loro avevano da bambini.” Come risultato, una significante minoranza di genitori sta diventando così coinvolta con il salvaguardare i propri figli che ricorre a misure estreme, quali apparecchiature GPS che permettano di monitorare ogni singolo spostamento dei figli. Tuttavia, i maggiori pericoli che riguardano i bambini non sono fuori dalle loro case, nei boschi o nei campi, ma esattamente nel posto che i genitori ritengono più sicuro: le loro camere da letto. La grande maggioranza degli abusi sessuali è portata avanti da parenti della vittima: genitori, parenti o parenti acquisiti, zii o “amici di famiglia”. Quando ci sono degli estranei coinvolti, questi maggiormente adescano la loro vittima tramite le chat su internet, fingendo di essere adolescenti essi stessi. Considerato che al giorno d’oggi tre bambini su quattro, di età compresa tra gli otto e gli undici anni, e due su tre, tra i cinque e i sette anni, usano regolarmente internet, molti di loro possono inavvertitamente mettersi in pericolo. Dunque i nostri figli sono più sicuri nelle loro stanze di quanto lo sarebbero fuori con un gruppo di amici? Le statistiche, l’esperienza e il buon senso suggerirebbero di no; tuttavia convincere i genitori dei reali pericoli che si trovano in casa, rispetto a quelli immaginati all’esterno, sarà molto dura. D: ATTEGGIAMENTO DELLE AUTORITA’: Riusciamo tutti ad essere in empatia con il dilemma di fronte al quale si trovano i genitori pieni di paure riguardo ai rischi rappresentati dal traffico o dagli estranei, anche se possiamo affermare che queste paure non siano sempre giustificate. Ma c’è un’altra barriera che impedisce ai nostri figli di ritrovare un legame con la natura: le figure legate all’autorità. Queste includono insegnanti, polizia ed altri ufficiali che, spesso con le migliori intenzioni, stanno erodendo la libertà dei nostri figli. E mentre i più professionali hanno una visione più equilibrata, basta anche semplicemente una piccola minoranza per scoraggiare i bambini a collegarsi al mondo della natura. In aggiunta, poiché i bambini non hanno più il permesso di avventurarsi fuori, nessuno si distingue dalla massa. Così, mentre il loro comportamento una volta sarebbe stato accettato, ora è sempre più considerato non normale e delinquente, e porta a ciò che Richard Louv definisce come “la criminalizzazione del gioco naturale”. Sembra che al momento viviamo in un mondo in cui anche le più innocenti azioni di bambini vengono talvolta considerate inaccettabili, con tutte la conseguenze che ciò comporta per la libertà dei bambini. E: CONSERVARE A BRACCIA CONSERTE. “Fate soltanto foto, lasciate solo impronte…” per gli ambientalisti e i conservatori di tutto il mondo, questo mantra è diventato l’equivalente di uno dei dieci comandamenti. Ma ha avuto esattamente l’effetto opposto di ciò che originariamente intendeva. Se le organizzazioni di conservatori e i loro guardiani proibiscono le esperienze dirette, allora la passione dei bambini per la natura, anziché essere coltivata e incoraggiata, verrà semplicemente allontanata. Un commentatore esperto, Martin Maudsley dell’Ufficio Nazionale dell’Infanzia, ha evidenziato l’importanza del fatto che i bambini abbiano un approccio diretto, con le “mani in pasta”: toccare, raccogliere, collezionare, e talvolta essere morsi o punti! L’evidenza diffusa suggerisce che le più accentuate sensibilità ambientali negli adulti derivino da esperienze infantili di gioco non strutturato negli ambienti naturali, comprese attività (potenzialmente dannose) interattive. Dovremmo anche essere cauti di fronte alla tendenza a trasformare ogni incontro con la natura in qualcosa come “esperienza interattiva”. Le riserve naturali, un tempo, erano difficilmente distinguibili dagli altri spazi aperti; oggi, hanno così tanti cartelli, insegne e attività organizzate che molti visitatori non potranno realmente vedere la natura selvaggia che erano venuti a vedere. Inoltre, trasformando ciò che dovrebbe essere un’esperienza spontanea in un’esperienza organizzata, c’è il reale pericolo che le persone suppongano di aver bisogno di speciali capacità e specifiche attrezzature. PARTE QUATTRO: UNITEVI AL DIBATTITO. VERSO DELLE SOLUZIONI. Chiunque sia coinvolto con dei bambini – come genitore, come lavoratore, o entrambi – sa che non esiste nessun “rimedio infallibile” che possa istantaneamente riconnettere i bambini del nostro Paese con il mondo della natura. Raggiungere questo scopo richiederà cambiamenti a lungo termine in tutta la società, in tre distinte sfere: individuale, collettiva e politica. I singoli individui e le famiglie hanno un ruolo cruciale nel dare il calcio d’inizio al processo di coinvolgimento dei loro figli con la natura. Un approccio valido sarebbe quello di costituire dei Club Natura e Famiglia che già hanno ottenuto grande successo negli USA e in Australia. Si tratta di gruppi di persone che  escono frequentemente nella natura, raggruppando bambini, amici e persone della comunità per condividere l’avventura all’aperto e per vivere in prima persona i benefici del tempo trascorso insieme all’aperto. Accanto a questo studio, il National Trust lancia il proprio prossimo contributo: una campagna chiamata “cinquanta cose da fare prima che tu abbia undici anni e tre quarti”, nata in seguito agli studi che mostrano l’importanza di sviluppare una connessione con la natura entro i dodici anni. Concepita dallo staff e da volontari in tutto il Trust, è una chiamata alle armi per tutte le organizzazioni, per assicurarsi che il suo fine, un essere conservatori a braccia aperte, si estenda a tutti i bambini del Paese. C’è bisogno che questo sia qualcosa che tutti noi decidiamo di fare assieme. In un momento in cui il nostro Paese sta affrontando una delle più grandi sfide della sua storia, dai cambiamenti climatici al crollo economico, può sembrare troppo semplicistico pensare che riconnettere i bambini con la natura dovrebbe essere messo al primo posto della lista. Ma consideriamo i vantaggi sociali, economici e politici di raggiungere questo traguardo. Immaginiamo un mondo in cui i nostri figli siano fisicamente e mentalmente più sani, le comunità con maggiore senso di coesione e legame, e in cui ognuno possa godere di una più intima relazione con la natura, e tutti i benefici derivanti. Costi ridotti per il Servizio Sanitario Nazionale, acquisizione (di conoscenze, n.d.t.) maggiore a livello educativo nelle nostre scuole, e famiglie più felici, più soddisfatte, sarebbe solo l’inizio. Infine, ciò aiuterebbe a formare generazioni di bambini con un approccio più equilibrato riguardo all’assumersi dei rischi, legami più profondi con i loro coetanei, e una genuina autoconsapevolezza e prospettiva del mondo più ampio, pronti a prendere il loro posto nella società adulta. Con questo report, il National Trust lancia un processo di consultazione di primaria importanza, e chiede agli individui e alle istituzioni di portare soluzioni pratiche, effettive e realizzabili per riconnettere i bambini con il mondo della natura. Se siete genitori o nonni, o se lavorate con i bambini in un contesto professionale o di volontariato, vogliamo sentirvi. E, specialmente, se siete in una posizione influente abbiamo bisogno che voi cospargiate il mondo. Soltanto allora comincerà a verificarsi il vero cambiamento. Noi non stiamo tentando di riportare indietro le lancette a qualche immagine nostalgica, tinta di rosa. Si tratta di guardare avanti e creare un nuovo mondo: dove il vedere dei bambini che giocano fuori, senza la supervisione dei genitori, sia la norma piuttosto che l’eccezione. Non sarà facile da raggiungere. Ma in ultimo rimane una domanda: dovremmo assicurarci che ogni bambino abbia l’opportunità di sviluppare una connessione personale con il mondo della natura, con tutti i benefici che questo porterà…no?”

 

La scelta a voi.

Articolo di Paola Leveghi (naturopata)

 

BIBLIOGRAFIA:

 

  1. Brown Hoffmeister, Lasciateli giocare con gli orsi. Come far conoscere ai nostri figli la natura. Una guida coraggiosa, Fabbri Editore, Milano, 2014.
  2. Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli – riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi Editore, Torino, 2001.
  3. Polito, Educare il cuore – Strategie per una comunità che si prende cura delle nuove generazioni, Edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 2005.
  4. David Thoreau, Walden, ovvero Vita nei Boschi, Mondadori Libri, Milano, 2018.
  5. Willard, Mindfulness per bambini e adolescenti – Esercizi e pratiche per educare alla presenza mentale e conquistare la serenità, Terra Nuova Edizioni, Firenze, 2017.

 

SITI INTERNET CONSULTATI:

www.HDblog.it

www.agendadigitale.eu.

www.sip.it.

www.nationaltrust.org.uk.

 

 

 

 

[1]   C. Willard, Mindfulness per bambini e adolescenti – Esercizi e pratiche per educare alla presenza mentale e conquistare la serenità, Terra Nuova Edizioni, Firenze, 2017.

[2]   www.HDblog.it

[3]   Ibidem.

[4]   www.agendadigitale.eu.

[5]   Fonte integrale: www.sip.it/2018/06/18.

[6]   P. Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli – riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi Editore, Torino, 2001.

[7]          P. Brown Hoffmeister, Lasciateli giocare con gli orsi. Come far conoscere ai nostri figli la natura. Una guida coraggiosa, Fabbri Editore, Milano, 2014.

[8]   Ibidem.

[9]   Ibidem.

[10]            H. David Thoreau, Walden, ovvero Vita nei Boschi, Mondadori Libri, Milano, 2018.

[11]  P. Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli – riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi Editore, Torino, 2001.

[12]  Ibidem.

[13]  M. Polito, Educare il cuore – Strategie per una comunità che si prende cura delle nuove generazioni, Edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 2005.

Rimedi naturali per rinforzare il sistema immunitario

L’informazione è lo strumento privilegiato che consente di adottare i comportamenti più opportuni a tutela della propria salute psico-fisica e del proprio benessere. Vogliamo ricordare che esiste la possibilità di difenderci dall’aggressione dei virus, rinforzando il nostro sistema immunitario e mantenere una buona vitalità. Più la persona è vitale, maggiore è la capacità di resistere ai virus. Per sostenere il nostro sistema immunitario, l’approccio della naturopatia può essere veramente d’aiuto. Non è però possibile adottare dei protocolli  unificati, bensì occorre prescindere sempre dall’analisi del singolo caso, utilizzando un approccio di tipo olistico, che si basa su un concetto globale di salute intesa come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Possiamo certamente sostenere il nostro sistema immunitario con rimedi spagyrici, essenze floreali, oli essenziali e funghi dalle spiccate proprietà immunostimolanti, scegliendole in base ad un buon consulto naturopatico per individuando i rimedi più opportuni. Vediamo come. 

Il sistema immunitario

Il sistema immunitario può essere visto come una protezione dell’organismo, una forma di barriera, che risponde all’attacco da parte di virus, batteri e tossine. Il sistema immunitario ha lo scopo di proteggere l’organismo dagli agenti patogeni, ma non è così semplice come si potrebbe pensare. Si tratta infatti di un sistema con una complessità tale che ancora si può dire non sia stata completamente compresa. Esistano diversi livelli di difesa: le barriere fisiche impediscono agli agenti patogeni, come batteri e virus, di entrare nell’organismo. Se un patogeno supera queste barriere, il sistema immunitario innato reagisce con una riposta immediata e generica. Quando viene elusa dall’agente patogeno anche questa barriera, interviene dunque il sistema immunitario adattativo, che adatta appunto la sua risposta adeguandola al tipo di agente patogeno riconosciuto. La risposta dell’organismo non viene perduta ma conservata sotto forma di memoria immunologica, che permette una risposta molto più veloce nel caso in cui il sistema immunitario incontri nuovamente quell’agente patogeno.

La maggior parte delle cellule che costituiscono il nostro sistema immunitario e che vengono chiamate cellule immunocompetenti si trovano nell’intestino. Queste cellule si trovano anche negli organi linfatici:  i primari, midollo osseo e timo,  sono la sede in cui i leucociti (globuli bianchi) si sviluppano e maturano, i secondari, linfonodi,  milza, adenoidi, tonsille, appendice, sono il luogo in cui l’antigene viene trattenuto così che i linfociti possano incontrarlo ed interagire con esso. 

Già Ippocrate, nel 2.500 a.C, aveva riconosciuto l’importanza dell’intestino per il benessere dell’organismo, dichiarando che “tutte le malattie cominciano nell’intestino“. L’intestino, che ha una superficie di  circa 300-400 mq, è l’area dell’organismo maggiormente sottoposta a costante stimolo antigenico (alimenti ingeriti) e contiene circa l’80% delle cellule immunitarie dell’organismo.

Per lavorare efficacemente, il sistema immunitario ha bisogno di un apporto regolare di macronutrienti, vitamine e sali minerali. Per questo l’alimentazione ha un ruolo molto importante: gli alimenti più indicati per rafforzarlo sono frutta e verdura non trattata di stagione, cereali integrali e proteine vegetali (legumi, semi oleosi e frutta secca). Gli alimenti da evitare sono lo zucchero, gli alcolici, i grassi idrogenati. Una funzione protettiva sul microbioma intestinale si ottiene grazie all’assunzione di prodotti fermentati. 

Le vitamine del gruppo B sono fondamentali per il benessere del sistema immunitario. Le troviamo in cereali integrali, legumi, semi oleosi, verdure, lievito alimentare in scaglie, germe di grano, tuorlo d’uovo, latticini e pesce. La vitamina C, anch’essa benefica sul sistema immunitario, si trova in rosa canina, peperoni crudi, kiwi, rucola, tarassaco, fragola, cavolo rosso, frutti di bosco, agrumi, nelle foglie verdi di porri e cipollotti. Il betacarotene non deve mancare nella dieta immunostimolante, lo troviamo nelle verdure verdi fresche, per esempio spinaci, rucola, cicoria, malva, ortica e gli ortaggi e nei frutti giallo-arancio come zucca, carote, melone e albicocche. La vitamina E gioca anch’essa un ruolo fondamentale per il nostro benessere, la troviamo in nocciole, pinoli, mandorle, semi di girasole, cime di rapa, olive, spinaci, basilico, albicocche essiccate, salsa di pomodoro, cereali integrali, oli vegetali. La vitamina D favorisce il fisiologico funzionamento del sistema immunitario e sostiene la regolare funzionalità muscolare. Si sottolinea la necessità di utilizzare verdure e frutta di stagione, possibilmente biologica.

Esistono poi alcune piante e alcuni adattogeni molto conosciuti e utilizzati, per esempio Rosa canina, Ribes, Uncaria, Echinace, Ginseng, Echinacea, Eleuterococco, Curcuma, Incenso, Uncaria. Sono numerosi i funghi medicinali spagyrici anti-virali ed anti-ossidanti che vengono utilizzati anche nella prevenzione, come il Coriolus ed il Fomes. In particolare, lo Shiitake è un fungo medicinale che potenzia il sistema immunitario grazie al suo contenuto di lentinano, un beta-glucano in grado di sollecitare i macrofagi, i linfociti T e le cellule Natural Killer, cioè i globuli bianchi deputati a riconoscere e a distruggere elementi potenzialmente dannosi per l’organismo. Il fungo Ganoderma (Reishi) è un fungo che nasce nel legno in decomposizione di alberi di quercia e castagno in Cina e Giappone. E’ conosciuto da tempo per le sue proprietà terapeutiche tanto da essersi guadagnato il soprannome di “fungo dell’immortalità“. Per i bambini i rimedi spagirici più utilizzati per rinforzare il sistema immunitario e prevenire i classici malanni invernali sono: Rosa canina, Ribes, Uncaria, Echinacea e Shitake.

Amche l’attività fisica ha un’azione positiva sul sistema immunitario, che si traduce in una riduzione del rischio di svariate malattie, dal cancro alla depressione. Il sistema immunitario viene influenzato solo esclusivamente dalla biochimica, ma occorre tenere conto nel livello vibrazionale-energetico che sta alla base dell’organismo umano. Vi sono delle correlazioni importanti tra i vari livelli dell’essere umano e lo sviluppo delle malattie, che sono solo l’avvertimento del corpo a un generale stato di difficoltà. Quando noi attuiamo uno stile di vita (in termini di pensieri, emozioni, alimenti, …) che il nostro livello energetico riconosce come non adatto alla vita, allora vi sarà una risposta anche biochimica che protegga il nostro organismo da ciò che ritiene non adatto alla sua sopravvivenza.

Anche la scienza sta cominciando a comprendere e spiegare la correlazione tra psiche-cervello-organi (la PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunologia). Per esempio è stata evidenziata la correlazione tra cervello e sistema immunitario, prima sconosciuta.

Fiori di Bach, rimedi spagyrici, meditazione, tecniche Mindfulness, yoga, Qi Gong e Tai Qi agiscono a livello mentale ed energetico producendo effetti importanti sul funzionamento del sistema immunitario. Esistono numerosi studi che, oltre a dimostrare l’efficacia di tali pratiche su svariati disturbi psicologico quali ansia, stati depressivi, attacchi di panico, nevrosi, stress e somatizzazioni, provano la loro efficace azione anche sulla regolazione del sistema immunitario.

Le avventure nel mondo, si imparano da piccoli!

E’ importante che i nostri figli, sin da piccoli, imparino a stare con i coetanei e, pur tra i nostri mille impegni, noi genitori dobbiamo far di tutto per favorire gli incontri con gli altri bambini. I bambini di oggi quando sono costretti a restare a casa e non possono vedere i loro amichetti, giocano per lo più con la playstation e il cellulare. Quando invece ero io bambina ero sempre in giro a giocare, in bici e con i miei amichetti, al parchetto, esploravamo il nostro piccolo mondo. Da lì nacque la mia passione per l’avventura ed i viaggi. I bambini, sin da piccoli, hanno la necessità di stare con gli altri: fa parte dello “statuto ontologico” dell’essere umano! Come abbiamo gambe per camminare e corde vocali per parlare, abbiamo anche bisogno di connetterci con gli altri ed entrare in sintonia con loro. Che vanno allenati proprio come le gambe o le corde vocali. E l’allenamento migliore lo offre proprio la socializzazione.
Le occasioni di incontrare gli amici sono molto importanti, altrimenti poi subentra l’abitudine di stare tra le mura domestiche, soprattutto se ci sono tanti bei giochini tecnologici che permettono di trascorrere tanto tempo. E magari anche di entrare in contatto virtuale con gli altri.
Ma non è la stessa cosa che incontrare gli amici di persona. Non è chattando con gli amici che si fa vita sociale. In una chat posso mandarti una faccina sorridente quando invece sto piangendo, perché c’è lo schermo che fa da copertura. I bambini hanno anche bisogno di guardarsi negli occhi, di capire il linguaggio verbale e non verbale ma soprattutto rispecchiarsi negli stati d’animo dell’altro. Stando insieme ad un amico il bambino può scoprire che non è l’unico a provare certe emozioni, che anche l’altro ha paure, vergogne, speranze, gioie simili alle sue. Proprio in un’età, come quella della crescita, in cui capita facilmente di sentirsi diversi, incerti e soli con il proprio mondo interiore. Poter condividere un’emozione o un problema con gli amici, significa avere l’opportunità di trovare insieme una soluzione. O, semplicemente, ridimensionarlo e non averne più paura. E sviluppare quel coraggio che da grandi ti permette di osare attraversare oceani e fare tante avventure nel mondo!!!

Un caso di bambino iperattivo

Per valutare se un bambino è affetto da un deficit di attenzione e di iperattività (ADHD), occorre sottoporlo ad una valutazione diagnostica piuttosto lunga ed articolata. In alcuni casi i bambini iperattivi sono trattati con sostanze chimiche, ma nella maggior parte dei casi si tratta di bambini solamente più vivaci della media.

E’ spesso in occasione dell’inserimento scolastico che i problemi comportamentali e relativi al cosiddetto deficit attentivo diventano più salienti. Se un bambino non riesce a concentrarsi su un compito non è detto che sia affetto da un disturbo neuropsichiatrico. Può per esempio dare importanza ad altri stimoli ambientali per lui rilevanti o sentirsi in uno stato emotivo che non gli consente di mantenere l’attenzione su un compito. Oppure ci possono essere altre cause.

Gli estratti spagyrici di camomilla, passiflora e tiglio (gemmoderivato) opportunamente combinati ai  fiori di Bach e australiani sono un ottima alternativa naturale sia per i bambini troppo vivaci che iperattivi: non hanno effetti collaterali, non creano dipendenza e si possono usare insieme a qualunque altra terapia medica o psicologica migliorandone addirittura gli effetti.

Il criterio con cui scegliere i fiori si basa sulla valutazione della singola situazione e delle caratteristiche di ciascun bambino. La floriterapia, infatti, non serve per alleviare i sintomi, ma per rimuovere la causa del problema. Come diceva Bach, “si cura la persona non la malattia“.

Ecco di seguito un caso di bambino iperattivo:

Si tratta di un bambino di 7 anni più vivace della media, che all’inizio della scuola elementare faceva fatica a mantenere l’attenzione e ad inserirsi nella classe. Quando l’ho incontrato era parecchio abbattuto perché voleva incontrarsi con un amichetto dopo la scuola ma finiva per restare sempre solo. Talvolta i bambini fanno fatica a trovare un senso di appartenenza al gruppo dei compagni di classe a causa di esperienze avvenute in tenera età, perché hanno vissuto un abbandono da parte dei genitori, come una degenza ospedaliera prolungata o l’affido del bambino in tenera età ad un nido. Lo psicologo Joachim Haarklou ad esempio sostiene che il bambino sotto i due anni non dovrebbe andare al nido o meglio che è preferibile che stia a casa perché con i genitori si sente più protetto e sicuro. Haarklou dice anche che si dovrebbe però anche fare una valutazione del bambino. Ogni bambino è diverso e c’è chi è pronto ad un anno e mezzo e chi invece non lo è prima dei 4-5 anni.

Anche questo bambino é stato portato al nido che non aveva neppure 9 mesi,  perché la mamma ignorava le conseguenze di una scelta di questo tipo. Il fiore che ho consigliato era in effetti Tall Yellow Top mescolato con un gemmoderivato di Tiglio. Dopo circa un mese di assunzione dei rimedi,  le maestre dicono alla mamma che il bambino non è  più iperattivo. E la mamma testimonia una maggiore integrazione nel gruppo degli amici.

(N.B. Lo stesso fiore l’ho consigliato anche alla madre che, originaria di Avellino, nonostante viva e lavori a Milano da diversi anni, fa fatica ad integrarsi con i milanesi. La mamma, dopo essere stata richiamata dalle maestre, era piuttosto disperata perché non sentiva di meritarsi anche questa vicenda del figlio iperattivo, che avrebbe comportato un costo economico notevole di sedute con la neuropsichiatra. Dopo circa un mese di assunzione dei rimedi le maestre hanno detto alla madre: “Non sappiamo cosa è successo e neppure vogliamo saperlo, ma ora suo figlio ha un comportamento adeguato”)

Tall Yellow Top è un fiore australiano da utilizzare quando c’è un senso di alienazione, solitudine e isolamento caratterizzato da una mancanza di connessione o di senso di appartenenza a qualsiasi cosa come la famiglia, un posto di lavoro o una realtà sociale o nazionale. Quest’essenza aiuta a riconnettere la sfera cognitiva a quella emozionale, dona la riscoperta della sensazione di appartenere a un gruppo (famiglia, amici, colleghi di lavoro, ecc), e favorisce le relazioni con gli altri. E’ una essenza da usare per lungo tempo fino a 6-8 settimane senza interruzioni e, se necessario, deve ripetersi allo stesso modo.

Tall Yellow Top si può utilizzare anche quando si tratta di bambini figli di genitori che non hanno desiderato il figlio durante la gravidanza. Utile in tutti i casi in cui vi è un senso di non appartenenza, di rifiuto da parte degli altri e nei casi in cui vi è una mancanza del senso di “casa”.

Come favorire l’autostima di tuo figlio

La dimensione comportamentale del calore è il fattore cruciale perché un figlio possa sentirsi accettato e l’accettazione rappresenta un bisogno universale. Secondo la PARTheory (Parental Acceptance-Rejection Theory) gli esseri umani hanno sviluppato, nel corso dell’evoluzione, dei bisogni emotivi che possono essere soddisfatti da persone che coprono un ruolo importante nella loro esistenza. Riprendendo la teoria dell’attaccamento, la PARTheory sottolinea l’importanza di far sperimentare al bambino, sin dall’infanzia, sensazioni di sicurezza e fiducia, che rappresentano una base sicura cui far riferimento per affrontare le diverse fasi dello sviluppo. A sua volta, ciò richiede al genitore caratteristiche di accessibilità, sensibilità e responsività.  Applicando il modello teorico e gli strumenti di valutazione di Rohner, è stato dimostrato che l’accettazione ed il rifiuto hanno un impatto diretto sullo sviluppo: coloro che sono stati accettati dai genitori hanno una salute mentale significativamente migliore di coloro che sono stati rifiutati. L’affetto genitoriale può essere mostrato sia fisicamente, con l’abbraccio, le carezze ed il conforto; sia verbalmente, attraverso le lodi, i complimenti, ma anche il tempo dedicato all’ascolto; in modo simbolico, mediante l’uso di specifici gesti culturali (come la concessione di privilegio associato ad una determinata età (ad es. organizzare un pigiama party a casa propria). Questi ed altri comportamenti contribuiscono a definire le componenti dell’accettazione genitoriale. Una prima raccomandazione a un genitore che non sia freddo o rifiutante è dunque quella di rendere percepibile il suo affetto in un qualunque modo che si sia congeniale. Il genitore deve anche porre attenzione a non inviare messaggi contraddittori. Per instaurare una comunicazione efficace è importante partire dall’ascolto, prestando attenzione alle emozioni e alle opinioni che i figli possono esprimere. Il sostegno maggiore del bambino è dato dall’essere ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso e appoggiato e contenuto dalla possibilità di confrontarsi con l’adulto, quando questi ha un’opinione diversa dalla sua.

Per contro la rabbia o il risentimento, che pure possono sorgere nel genitore quando un bambino si comporta molto male, o insiste in un modo di fare sgradito, devono essere autoregolati. Ogni volta che un genitore agisce aggressivamente verso il figlio, urlando, criticandolo con violenza o peggio ancora punendolo fisicamente, il sentimento inevitabile del bambino è quello di essere rifiutato. Accanto alle risposte aggressive da parte dell’adulto, non va sottovalutato l’effetto negativo della distanza emotiva o delle reazioni di prolungato disappunto di fronte alle mancanze. Si può far riflettere il genitore sul fatto che agendo in questo modo fornisce un modello negativo, oltre a comunicare ostilità e rifiuto.

La mancanza di calore genitoriale è associata ad una bassa autostima, a una bassa competenza sociale ed a elevati problemi psicologici e comportamentali e se i bambini non percepiscono il supporto della figura materna sorgono in loro sentimenti di insicurezza e inadeguatezza.

L’ascolto che mantiene viva la comunicazione

Essere in grado di ascoltare le emozioni è una competenza importante per le relazioni interpersonali. Soprattutto nei momenti di crisi, come genitori è importante saper mettere da parte i propri sentimenti e ascoltare e comprendere i pensieri e gli stati d’animo dei nostri figli. Se desideriamo che i nostri figli raggiungano l’autocontrollo, i primi che possono mostrare come si fa, siamo noi adulti, cercando di non lasciarci travolgere noi stessi dalle emozioni. Ad esempio, se nostro figlio ci dice che odia la scuola, invece di moralizzare, far la predica o persuadere (ad es. con frasi come: “Guardiamo cosa dicono le statistiche sui giovani laureati.”) è meglio favorire una liberazione catartica delle emozioni del figlio, ossia utilizzare un tipo di ascolto in cui è necessario accettare ciò che il figlio prova e non cercare di sbarazzarsi del piagnucolio o del tormento rassicurandolo o minacciandolo. Perché i figli vogliono assicurarsi che voi capiate quanto grave sia il loro malessere.  Se siamo in grado di praticarlo,  l’ascolto attivo può fare miracoli. L’ascolto attivo è un modo splendido per comunicare quando il figlio vive un momento di tensione o di squilibrio, in cui il genitore tenta di capire i sentimenti del figlio ed il significato del suo messaggio.

Ad esempio, prendiamo il seguente caso:

“Una bimba di 3 anni e mezzo cominciò a lagnarsi senza sosta appena la madre la lasciò con me in macchina per fare la spesa la supermercato. “Voglio la mamma” ripeté almeno una dozzina di volte, nonostante ogni volta le dicessi che sarebbe tornata nel giro di pochi minuti. Poi cominciò a piangere urlando: “Voglio la mia bambola. Voglio la mia bambola.” Non riuscivo a rasserenarla in nessun modo. Poi mi ricordai dell’ascolto attivo. Disperato dissi: “Mamma ti manca molto quando ti lascia sola”. Annuì. “Non ti piace che la mamma se ne va senza di te.” Annuì ancora, stringendosi sempre nella sua copertina e con l’aspetto spaurito di un cucciolo raggomitolato in un cantuccio del sedile posteriore. Continuai: “Quando ti manca la mamma, vorresti la tua bambolina”. Annuì energeticamente. “Ma qui, non c’è la tua bambolina e ti manca anche lei.” A quel punto, come per magia, uscì dall’angolino in cui si era raggomitolata, lasciò cadere la copertina, smise di piangere, si trascinò sul sedile anteriore e cominciò a conversare piacevolmente sulla gente che vedeva nel parcheggio.” (tratto da “Genitori efficaci ” di Thomas Gordon, ed.  La meridiana.)

Oppure, quando un figlio compie un danno, ad esempio fa cadere un vaso,  possiamo comunicare il nostro dispiacere dicendo: “ Il mio vaso rotto… sono davvero molto dispiaciuta …” se invece riusciamo ad empatizzare con il bambino possiamo dire: “Ti sei spaventato quando hai sentito il vaso cadere?” In entrambi i casi lasciamo che l’accaduto possa essere un’ occasione di crescita e di apertura alla relazione tra genitore e figlio, invece che di scontro. Se invece reagiamo con espressioni come: “Non avresti dovuto rompere il mio vaso!” La conversazione è chiusa. Daniel Stern parla di “sintonizzazione emotiva” ossia la capacità di ascoltare, accettare e comprendere l’emozione. L’ascolto attivo promuove invece il dialogo con il figlio. Questa sintonizzazione emotiva crea un clima favorevole e  accogliente che rende più facile il rapporto genitore figlio. Questo vuol dire saper aspettare prima di reagire, vuol dire essere fiduciosi che il figlio saprà  trovare le sue soluzioni al problema.

Le neuroscienze ci danno ulteriori conferme spiegando che ripristinando il contatto fisico, come l’abbraccio, il gioco corporeo, il massaggio e l’utilizzo di parole empatiche,  dette anche carezze emotive, aiutiamo il bambino a calmarsi, mentre il cervello si inonda di sostanze chimiche come l’ossitocina “l’ormone dell’amore”. Non è mai troppo tardi per mostrare attenzione, cura della relazione, empatia e comprensione, e questo lo aiuta a superare l’ansia e a regolare le emozioni intense.

L’empatia non è qualcosa che possiamo acquistare, guadagnare o acquisire. L’empatia è già dentro ognuno di noi. Nasciamo con questo bagaglio emozionale. Già da neonati nella nursery se un bambino piange, presto anche gli altri faranno lo stesso. Con il crescere, evolvono anche le strategie per mostrare all’altro empatia. Infatti, un bambino di due anni e mezzo è già in grado di comprendere il dolore altrui e saperlo distinguere da sé, per questa ragione non è insolito vedere bambini di quell’età che consolano i loro compagni che piangono, magari facendogli una carezza o portandogli un gioco. Certo è che se invece di dare importanza al sentire del bambino cerchiamo fin dalla più tenera età di non tenerne conto, questo non li aiuta a crescere con questa competenza, ma implementa invece una certa insensibilità ai sentimenti altrui.

Il ruolo delle emozioni nelle relazioni genitori figli

Le emozioni costituiscono sia i processi sia i contenuti delle relazioni che si creano tra genitori e figli fin dall’inizio del loro rapporto. Immaginate un bambino che corre tutto contento in casa dalla mamma per mostrarle un barattolo pieno di maggiolini colorati che ha trovato in giardino:  “Mamma guarda non sono bellissimi?” Se l’unica cosa che la donna vede è una casa potenzialmente invasa dagli insetti, la mamma risponderà dicendo: “Porta subito via di qui questi orribili animali!” In tal caso, il bambino protesta: “Ma se non li hai neanche guardati, vedi come luccica questo verde?” Dopo una rapida occhiata al barattolo prende il figlio per un braccio e lo accompagna alla porta ricordandogli che gli insetti vivono fuori di casa ed è lì che devono restare. In una situazione del genere le emozioni che il bambino sta vivendo vengono chiaramente ignorate; la sua eccitazione e la sua gioia non sono condivise dalla madre e il bambino rimane probabilmente confuso sul significato il valore di questa esperienza emozionale. La scoperta e la cattura dei maggiolini lo avevano fatto sentire bene e felice. Era rientrato correndo per condividere con la madre queste sensazioni positive. Ma le risposte ottenute lo inducono a pensare di essersi comportato male. Un coinvolgimento emotivo significativo, una partecipazione empatica della donna all’avventura e all’eccitazione del figlio avrebbero aiutato il bambino a dare un valore alla sua esperienza. Ciò che non vuol dire che in quanto genitori dobbiamo adattarci a vivere con la casa piena di insetti. Significa solo che è importante cercare di entrare in sintonia o in risonanza con l’esperienza emozionale dei nostri figli prima di cercare di modificarne i comportamenti. Entrare in sintonia con le loro emozioni può voler dire porsi al loro livello, avere un atteggiamento aperto e ricettivo, esprimere curiosità ed entusiasmo anche con il tono della voce: “Oh, fammi vedere che belle bestiole colorate! Grazie per avermele portate! Dove le hai trovate? Forse però i maggiolini sarebbero più contenti di rimanere fuori in giardino, non credi?” Un’interazione di questo tipo avrebbe rinforzato il rapporto tra madre e figlio. Sentendo che le sue idee e le sue emozioni avevano un valore per la madre, il bambino avrebbe inoltre provato un senso di sé più saldo e profondo. Quando i genitori sono capaci di entrare in sintonia con le sue emozioni, il bambino ha di sé un’esperienza positiva. E le relazioni emotive lo aiutano a dare significato alle proprie emozioni e influenzano il suo modo di vedere i genitori e se stesso.

Ma che cos’è esattamente un emozione? Possiamo riconoscere un emozione quando la proviamo, ma è molto difficile descrivere la natura dell’esperienza. Capire il ruolo che le emozioni e svolgono nei nostri rapporti interpersonali può essere di grande aiuto: è attraverso la condivisione di emozioni che entriamo in sintonia con gli altri. Sono le forme di comunicazione che coinvolgono la conoscenza delle nostre emozioni, la capacità di condividerle e la capacità di percepire empaticamente quelle dei nostri bambini che costituiscono le fondamenta su cui possiamo costruire con loro una relazione che continui per tutta la vita. Le emozioni plasmano le nostre esperienze interne e interpersonali e forniscono significati alla nostra mente. Quando siamo consapevoli delle nostre emozioni e siamo in grado di farne partecipi gli altri, la nostra vita di tutti i giorni risulta arricchita perché è attraverso la condivisione delle emozioni che rendiamo più profondi i rapporti con le persone che ci circondano. Un genitore capace di comunicare le proprie emozioni aiuta i figli a sviluppare un senso di vitalità ed empatia. Queste componenti possono alimentare nel corso dell’intera esistenza la crescita di relazioni interpersonali intime intense basate sulla condivisione di emozioni, sull’amplificazione di quelle positive e sull’attenuazione di quelle negative. 

Tratto da: “Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta ad essere genitori.” di Daniel J. Siegel Mary Hartzell, ed. Cortina

Impariamo a crescere con i nostri figli

I nostri figli ci danno l’opportunità di crescere e di esaminare questioni lasciate in sospeso legate alle nostre esperienze infantili. Se questa possibilità viene vista come un pesante fardello, il nostro ruolo di genitore può diventare gravoso e spiacevole. Se al contrario, consideriamo le nostre esperienze di genitori come un’opportunità per apprendere nuove cose, possiamo continuare a crescere con i nostri figli. Un approccio alla vita che prevede una costante disponibilità a imparare ci permette di affrontare il nostro ruolo di genitori con una mente aperta, come un viaggio alla scoperta di nuovi mondi. Dati relativamente recenti nel campo della ricerca neuro-scientifica sottolineano come, nel nostro cervello, nuovi collegamenti e probabilmente nuove cellule nervose possono continuare a svilupparsi nel corso della nostra esistenza. Le connessioni fra le cellule nervose determinano le modalità con cui i processi mentali sono creati; le esperienze plasmano questi collegamenti fra i neuroni cerebrali e di conseguenza plasmano la mente. Relazioni interpersonali e processi riflessivi favoriscono il continuo sviluppo del cervello. Il fatto di essere genitori ci offre l’opportunità di continuare ad apprendere mentre riflettiamo sulle nostre esperienze a partire da punti di vista inediti e costantemente soggetti a cambiamenti. Essere genitori ci permette anche di generare nei nostri bambini un atteggiamento aperto nei confronti del mondo mentre alimentiamo la loro curiosità e li sosteniamo nelle loro esplorazione dell’ambiente. Le interazioni complesse e spesso difficili che caratterizzano la relazione genitore figlio ci permettono di scoprire nuove possibilità di crescita e sviluppo per noi stessi per i nostri figli.

Tratto da: “Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta ad essere genitori.” di Daniel J. Siegel Mary Hartzell, ed. Cortina

Il linguaggio dell’accettazione

Quando una persona è capace di provare e di comunicare a un’altra una sincera accettazione, essa può diventare di grande aiuto. La sua accettazione dell’altro così com’è, è determinante per costruire una relazione in cui l’altro possa crescere, maturare, operare cambiamenti costruttivi, imparare a risolvere problemi, tendere ad un equilibrio psicologico, diventare più produttivo e creativo, realizzare pienamente il proprio potenziale.   L’accettazione è come il terreno fertile che permette ad un seme minuscolo di trasformarsi nel bel fiore che può diventare. Il terreno si limita a facilitare lo sviluppo del seme. Anche un figlio, come un seme, ha dentro di sé la capacità di crescere. L’accettazione è il terreno fertile, che semplicemente permette al figlio di realizzare il proprio potenziale. Perché l’accettazione genitoriale esercita tanta benefica influenza sui figli? E’ un punto che in genere non viene compreso. La maggior part delle persone è stata indotta a credere che si accetta un figlio così com’è, questi non cambierà mai; che il modo più valido per aiutarlo a migliorarsi è quello di dirgli quali aspetti di lui non sono accettabili. Di conseguenza la maggior parte dei genitori ricorre a piene mani al linguaggio della non-accettazione, pensando che sia il modo migliore per aiutare i figli. Il terreno che tanti genitori offrono ai figli è intriso di valutazioni, giudizi, critiche, prediche, massime morali, ammonizioni, ordini ed altri messaggi che trasmettono la non-accettazione al ragazzo per quello che è. Il linguaggio dell’accettazione, rende i figli più aperi e sereni; li fa sentire liberi di condividere sentimenti e problemi. Gli psicoterapeuti e i consulenti hanno dimostrato quanto può essere potente l’accettazione. I terapeuti più efficaci sono quelli che riescono a comunicare una sincera accettazione alle persone che cercano il loro aiuto.

Lavorando con i genitori ai corsi P.E.T. (Parent Effectiveness Training) partecipanti ai corsi di abbiamo dimostrato che si possono insegnare ai genitori le stesse abilità utilizzate dai terapeuti professionisti. La maggior parte dei genitori riduce drasticamente la frequenza dei messaggi che trasmettono non-accettazione e acquisisce una notevole capacità di utilizzare il linguaggio dell’accettazione. I genitori che imparano a manifestare attraverso le parole una sincera accettazione del figlio, dispongono di uno strumento che può produrre risultati straordinari. Possono incoraggiare l’autoaccettazione e l’autostima del figlio. Possono promuovere il suo sviluppo e agevolare la realizzazione del potenziale di cui è geneticamente dotato. Possono accelerare il suo passaggio dalla dipendenza all’indipendenza e all’autocontrollo. Possono aiutarlo a imparare a risolvere i problemi che inevitabilmente la vita gli presenterà, e dargli la forza per affrontare costruttivamente le delusioni e le sofferenze dell’infanzia e dell’adolescenza.

Di tutte le conseguenze dell’accettazione, la più importante é che il figlio si sente amato. Accettare l’altro così com’è, è veramente un atto d’amore; sentirsi accettati significa sentirsi amati. La psicologia sta solo adesso cominciando a prendere atto dell’immenso potere insito nel sentirsi amati: è un sentimento che promuove la crescita mentale e fisica, ed è forse l’agente terapeutico più efficace.

(Thomas Gordon, Genitori efficaci, edizioni La meridiana)